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Crepuscolo d’Argento

August 19, 2016 by matteoscalco Leave a Comment

Sono le 5.51 del mattino quando apro il computer. Paolo Nicolai e Daniele Lupo hanno appena perso la finale olimpica di beach volley contro i brasiliani Allison Cerutti ed Oscar Bruno Schmidt. E’ medaglia d’argento. Ma dietro questa sconfitta mi sento quasi in dovere di dedicare qualche parola a questi ragazzi che hanno fatto incollare alla tv migliaia di spettatori nonostante l’orario proibitivo. Fuori inizia a scorgersi l’alba in Italia. E chissà che non sia di buon auspicio di una carriera nella quale questo sia solo il primo di molti trionfi.

Lo scenario è da thriller. Innanzitutto per il tifoso italiano. La sveglia alle 5 è solo per i più temerari, riservato a quelli che il sogno questa notte lo vogliono vivere ad occhi aperti. Molti, come me, non saranno nemmeno esperti di beach volley. Magari saranno tra quelli che questo sport lo seguono solamente una volta ogni quattro anni, quando i Giochi Olimpici rispolverano anche le discipline “minori”. Ma poco importa. Qui si fa la storia. Una coppia italiana gioca per la prima volta una finale olimpica di beach volley.

 Foto: L’esultanza di Nicolai e Lupo sotto il diluvio di Copacabana.

 

Accendo la tv sull’1-0 per il Brasile. “Ahia!” è il mio primo pensiero, da primo degli scaramantici. Eppure l’inizio degli azzurri è entusiasmante, con un paio di break scaricati sulla metà campo brasiliana. Ce la stiamo giocando, andando controcorrente nei confronti dei pronostici che avevano elevato la medaglia d’oro a tabù. Siamo contro i campioni del mondo, i più forti. E Allison Cerutti ci mette poco a ristabilire le gerarchie. Punto su punto riporta il Brasile in vantaggio, mettendo a freno quel senso di euforia dopo lo straordinario inizio di Nicolai e Lupo. Solo allora, forse, mi rendo conto di cosa c’era intorno agli azzurri.. Ad ogni schiacciata di Allison si ergono intorno ai giocatori 12 mila spettatori. Cantano, urlano, ballano, sotto ad un diluvio che sembra la cornice perfetta per consegnare la partita alla leggenda. I colori sugli spalti sono solo due. Giallo e verde. I colori della bandiera carioca.

Nicolai e Lupo non sono però in finale per fare le comparse alla festa brasiliana. Cadono, si rialzano e attaccano, sfidando ad ogni colpo lo strapotere fisico di Allison e la cinicità di Bruno Schmidt, sotto l’incessante boato della bolgia gialloverde. I brasiliani non cedono, ma concedono un break nel momento decisivo del set. 19-18 per gli azzurri. Il bello ed il cattivo tempo dello sport è che spesso ti giochi tutto in un istante. Una giocata sul filo del rasoio che ti tiene in bilico tra vittoria e sconfitta. Bastava un punto per andare al set ball, ma il break, sull’errore di Nicolai, è brasiliano. E il muro invalicabile di Allison consegna ai carioca il primo set. 21-19.

 Foto: La schiacciata di Oscar Bruno Schmidt nella Beach Volley Arena di Copacabana.

 

Il secondo set, però, si apre ricalcando le orme del primo. Lupo e Nicolai non mollano e si portano subito avanti. Non sono inferiori e lo dimostrano. Dimostrano che non sono in finale per caso, ammutolendo per più di qualche istante i roboanti cori brasiliani. Combattono, contro un’intera arena che è contro di loro. Sul 6-4 per l’Italia si gioca probabilmente lo scambio più bello dell’Olimpiade. 33 secondi ed 8 scambi sui quali Schmidt e Lupo ricevono in maniera spaziale, fino alla bordata decisiva di Allison. Spettacolo puro.

Alla lunga lo strapotere brasiliano viene fuori. Dall’11-8 per gli azzurri la coppia gialloverde si porta sul 14-14, arrivando alla chiave di svolta della partita. Sulla battuta brasiliana gli azzurri non incidono, lasciando a Schmidt la schiacciata del vantaggio. La palla successiva si ferma invece sul muro imponente di Allison. 16-14. Il pubblico alza le mani al cielo ed inizia a mimare il muro del fuoriclasse brasiliano, ululando cori in favore dei propri idoli. Schmidt fa il robot e non sbaglia più un colpo in ricezione, mentre nelle sue schiacciate Allison rimembra il ricordo fresco delle saettate di Zaytsev. Ora ogni goccia di pioggia sembra un macigno che batte sul morale dei nostri portacolori. 19-15. Tentiamo di non mollare, cercando di tenere viva anche l’ultimo residuo di speranza per i nostri sogni dorati. Sul match ball del Brasile teniamo viva una palla impossibile, ma il quarto tocco di Lupo consegna l’Olimpo al Brasile.

 Foto: Nicolai e Lupo sul podio con la medaglia d’argento.

 

Verrebbe da dire “Peccato, bravi comunque”, ma non renderebbe onore a questi ragazzi. Perché Nicola e Lupo hanno portato a termine un’impresa che non ha eguali nella storia del beach volley italiano. Bravi. Togliete il comunque. E bravi anche a tutti coloro che alle 5 erano in piedi a vivere questo sogno con loro, magari tenendo botta dopo i 200 metri di Bolt. Un’altra storia nella storia. Ora fuori è chiaro. Oggi hanno vinto i più forti (meritatamente), ma è solo l’alba della carriera di Nicolai e Lupo. In Brasile, però, adesso è notte. E si può continuare a sognare.

 

Filed Under: Beach Volley, Giochi Olimpici, Pillole Tagged With: Beach Volley, Brasile, Italia, Lupo, Nicolai, Rio2016

Il Caso Schwazer – E’ giusto che vada a Rio?

July 12, 2016 by matteoscalco Leave a Comment

La nuova positività di Alex Schwazer è di fatto diventata un giallo, un precedente che rischia di far crollare il già lacerato sistema antidoping internazionale. In seguito alla conferma dei valori anomali di testosterone sul campione B delle urine prelevate all’atleta il 1° gennaio scorso, è scattata la sospensione della IAAF, che ancor più dell’atleta altoatesino sta diventando il protagonista mediatico dell’intera vicenda. Il caso Schwazer, infatti, sembra essere soltanto l’ultimo capitolo di un insieme di scandali politici e di corruzione nei quali le colpe della Federazione Atletica Internazionale vanno dritte ad incrociarsi col destino dell’atleta altoatesino, come sostenuto dal suo allenatore Sandro Donati.

Il marciatore italiano, colpevole di aver assunto l’Epo nei mesi antecedenti ai Giochi di Londra 2012, è stato uno dei primi a denunciare il sistema di doping che sorreggeva gran parte della pluri-medagliata squadra di atletica russa. Nell’agosto del 2012, Schwazer giustificava in parte la sua scelta di ricorrere a sostanze dopanti, dichiarando davanti al Tribunale Antidoping del Coni come fosse certo che dai Mondiali di Daegu 2011 che i marciatori russi ricorressero all’utilizzo di Epo per loro stessa ammissione. Da quel momento il marciatore italiano diventò una delle testimonianze principali che portarono a svelare un piccolo ramo del doping di stato russo (del quale ho parlato anche qui), che si scoprirà poi sfociare nel sistema di corruzione che coinvolgeva direttamente i vertici della IAAF.

Foto: Lamine Diack, ex presidente della IAAF .

 

Le rivelazioni di Schwazer e la sua collaborazione con la RUSADA, l’agenzia antidoping russa, sono solo un capitolo di un caso molto più grande. Nel 2014 emergono agli onori della cronaca i rapporti che legavano nel 2012 l’allora presidente della IAAF Lamine Diack ed il presidente della federatletica russa Balakhnichev, uomo fidato di Vladimir Putin. Secondo le ricostruzioni, Diack, senegalese di nascita, avrebbe intascato dalla Russia più di 1 milione di euro per coprire i valori anomali nel passaporto biologico di numerosi atleti russi di rilievo. Una discreta cifra che lo stesso Diack avrebbe utilizzato per supportare la campagna elettorale del partito d’opposizione senegalese per le elezioni del luglio 2012, che videro proprio l’oppositore Macky Sall vincente contro il presidente uscente Wade. “Bisognava vincere la Battaglia di Dakar”, rivelava Diack al quotidiano francese Le Monde, “ma per farlo bisognava finanziare la campagna di opposizione. C’era un accordo scritto con la Russia, che doveva coprire i casi di doping di alcuni atleti”.

Secondo il Sunday Times, almeno un terzo degli atleti medagliati a Mondiali ed Olimpiadi su prove di fondo e mezzofondo tra il 2001 ed il 2012, avrebbe ammesso l’uso di sostanze proibite, senza tuttavia essere stati mai “beccati”. Ancor più emblematico è il caso del coach russo di marcia Viktor Chegin, allenatore di atleti che hanno fruttato nell’ultimo decennio più di venti medaglie tra Mondiali ed Olimpiadi per lo squadrone dell’ex Unione Sovietica. Tra il 2005 ed il 2015 più di venti atleti allenati da Chegin sono stati squalificati per doping o valori anomali nel passaporto biologico. Un numero incredibile di casi che, dopo le rivelazioni sul sistema di doping russo, hanno portato alla squalifica a vita dell’allenatore nel febbraio del 2016.

 Foto: Sergey Kirdyapkin, oro revocato nella marcia 50km a Londra 2012, allenato da Chegin.

 

Ciò che venne dopo è sulla bocca di tutti. Alex decide di tornare dopo 3 anni e 9 mesi di squalifica con l’obiettivo di partecipare ai Giochi di Rio 2016, allenato dal paladino dell’antidoping italiano Sandro Donati. L’8 maggio 2016 trionfa nella 50km per la Coppa del Mondo di Marcia a squadre a Roma, ottenendo il pass per Rio. Il 21 giugno, tuttavia, la IAAF notifica alla FIDAL la positività di Schwazer al testosterone in un controllo a sorpresa del 1° gennaio, sospendendolo con effetto immediato l’8 luglio.

 Foto: Schwazer alla Coppa del Mondo di Marcia a squadre a Roma.

 

Schwazer si dichiara da subito innocente e vittima di un complotto, supportato da Donati e da tutto il suo staff. A suo favore c’è il profilo di un atleta antidoping, con 35 controlli ematici svolti al San Giovanni di Roma ed una ventina di controlli sangue e urine commissionati da CONI e IAAF. Una media di un test ogni 6/7 giorni, tutti risultati negativi. A parte quello del 1° gennaio. Il fatto è che intorno a questo test girano molti dubbi, troppi. In primo luogo la provetta non era (teoricamente) anonima, ma indicava il luogo del prelievo (Racines) dove solo Alex svolge attività atletica a livello professionistico. Successivamente la tempistica, con l’esito positivo avvenuto in maggio (su un campione prima negativo), ma notificato alla FIDAL solamente un mese dopo. Il tutto rafforzato dalla mancata presa di posizione della IAAF, che nonostante il dossier fatto prevenire dalla difesa di Schwazer, non ha mai preso posizione in merito alle incertezze della vicenda.

Il giallo si arricchisce negli ultimi giorni con le parole di Donati. L’allenatore non ha riservato parole dolci per quella che ha definito “la mafia del doping, la sacra alleanza tra la IAAF e i russi”. Una storia macchiata di telefonate e minacce legate al ritorno di Alex a Roma, volte ad insinuare anche la paura nell’allenatore per la sua integrità e per quella della sua famiglia. “Questa storia porta con sé un messaggio molto chiaro: chiunque parla va messo fuori gioco, chi rompe il muro dell’omertà che c’è sul doping deve comunque pagarla cara”, ha dichiarato Donati a La Repubblica. L’allenatore ha anche alluso al suo contributo in passato nel riportare l’attenzione della WADA (Agenzia Antidoping Internazionale), su un database in mano ad un medico italiano dove risultavano chiari i valori ematici anomali di un gran numero di atleti russi. Un altro degli aspetti che avrebbero fatto di lui e Schwazer un bersaglio.

Foto: Schwazer e il suo allenatore, Sandro Donati.

 

Schwazer e la sua difesa hanno presentato un ricorso d’urgenza al Tribunale Antidoping del CONI, per ottenere una revoca del provvedimento di sospensione della IAAF. Le vicende che coinvolgono Schwazer e Donati con il sistema corrotto della IAAF e dei russi non implicano necessariamente l’innocenza di Alex. Allo stato attuale delle cose, però, Schwazer è un atleta sospeso per doping. Stop. Ma sicuramente si sta andando a creare un precedente, soprattutto a livello mediatico, dai contorni non chiari, alla quale urgono risposte. I presunti dubbi sulla positività di Schwazer vanno a mettere in discussione l’intera trasparenza del sistema e della IAAF stessa, che di fronte a tali anomalie dovrebbe rispondere in maniera precisa e puntuale, in particolar modo dopo gli scandali che l’hanno coinvolta recentemente. Se queste risposte non dovessero arrivare, Alex ha tutto il diritto di andare a Rio. La sua partecipazione sarebbe un segnale netto di sfida ad un sistema parzialmente segnato (l’esclusione della squadra di atletica russa dai Giochi ne è una prova), e darebbe la giusta redenzione ad un atleta che ha pagato le sue colpe passate, trovando la forza di tornare in un mondo che lo aveva abbandonato e che ancora oggi fa fatica a riaccoglierlo.

 

 

AGGIORNAMENTO: il Tribunale Antidoping ha rigettato la richiesta di sospensiva, dichiarando la propria “mancata competenza” a decidere sulla vicenda. (Fonte: “La Repubblica”)

 

 

Filed Under: Atletica, Doping, Giochi Olimpici, Pillole Tagged With: Atletica, Donati, Doping, Rio2016, Russia, Schwazer

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