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Il volo di Eddie The Eagle

June 1, 2016 by matteoscalco Leave a Comment

La storia dei Giochi Olimpici non è fatta solo da grandi vittorie, ma anche da ultimi posti costruiti su storie che hanno dell’incredibile.

Molti ricorderanno Brahim Izdag, il famigerato sciatore marocchino del Super Gigante di Albertville 1992, la cui prova fu resa celebre da un famoso video della trasmissione Mai dire Gol. Altri potrebbero pensare alla nazionale giamaicana del Bob a 4, team che concluse con un cappottamento la sua prima esperienza ai Giochi di Calgary 1988, diventando fonte di ispirazione per il film della Disney Cool Runnings.

Storie per le quali il motto di de Coubertin “L’importante non è vincere, ma partecipare”, potrebbe essere tranquillamente affiancato da “Fare o non fare, non provare”, l’insegnamento del Maestro Yoda di Star Wars.

Una massima che si ritaglia perfettamente intorno alla partecipazione olimpica di Michael “Eddie” Edwards. Una storia assurda quanto vera, fino a diventare sceneggiatura per il film Eddie The Eagle, pellicola diretta da Dexter Fletcher ed interpretata da Taron Egerton e Hugh Jackman, che uscirà nelle sale italiane il prossimo 2 giugno.

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Il sogno di Eddie nacque sul pendio di Gloucester, città nel sud-ovest dell’Inghilterra. Dopo una carriera da calciatore costellata dagli infortuni, Eddie iniziò a sciare, diventando presto uno dei migliori giovani dilettanti di tutto il paese. Una passione dedita ad un’ambizione: rappresentare la Gran Bretagna ai Giochi Olimpici Invernali.

Una grande forza di volontà, di fronte ad una realtà con la quale Eddie probabilmente non aveva fatto i conti. Nel 1983 il giovane inglese viaggiò per tutta Europa, inseguendo nelle principali competizioni continentali un pass per gli imminenti Giochi che non arrivò. Alla mancata qualificazione si aggiunse una situazione economica familiare che non era delle migliori. Sua madre, operaia, e suo padre, imbianchino, non potevano più permettersi che Eddie continuasse la carriera nello sci alpino. Ma non era la fine.

Eddie non si diede per vinto e si mise in testa di provare ad entrare nella squadra olimpica del salto con gli sci. Fino ad allora la Gran Bretagna non aveva mai schierato un saltatore ai Giochi, per il semplice motivo che nel paese non c’erano né impianti, né saltatori. Il problema era che Eddie non aveva mai saltato. E che il salto degli sci non era di certo il meno pericoloso degli sport.

Con gli ultimi risparmi rimasti, il giovane inglese si trasferì così nel gennaio del 1986 a Lake Placid (New York), dove iniziò ad allenarsi sotto gli occhi di Chuck Berghorn, un addetto alla manutenzione dell’impianto locale di salto con gli sci che si dilettava occasionalmente in qualche gara amatoriale. Berghorn non si poteva considerare un grande esperto di salto, ma si fece trasportare dallo spirito e dalla simpatia di Eddie, accettando di allenarlo nonostante le premesse. “Di certo era l’essere umano più improbabile che avrebbe potuto saltare con gli sci ai Giochi” ricorda Chuck. “Non era più giovane, non aveva mai saltato e aveva gli occhiali più grossi che avessi mai visto”. Di una cosa, però, Chuck era sicuro: “Non ho mai pensato che potesse farsi male. I saltatori che si infortunavano pensavano troppo, avevano un cervello. Eddie semplicemente non ce l’aveva!”.

 Foto: Eddie “The Eagle” nell’intervista pre-gara ai Giochi di Calgary 1988

 

Dopo qualche mese negli USA, Eddie tornò in Europa con l’obiettivo di partecipare alle prime competizioni a livello continentale. Andò a Kandersteg in Svizzera per continuare ad allenarsi, alloggiando in un centro scout e vivendo di cibo in scatola. Presto ottenne la licenza della federazione britannica per partecipare alle prime competizioni internazionali, cosa che gli permise di esordire in Coppa Europa a St. Moritz nel dicembre nel 1986.

Nel giro di dodici mesi Eddie si ritrovo così da perfetto principiante nel salto con gli sci ad atleta agonistico nei più importanti appuntamenti internazionali. Non aveva né soldi, né una squadra che lo supportasse, ma la sua storia non passò di certo inosservata nell’ambiente.

La squadra italiana gli offrì un casco, mentre il team austriaco si prese carico dei suoi sci. Eddie iniziò in questo modo a girare per l’Europa con la macchina della madre, avventurandosi nel frattempo in numerosi lavori part-time come babysitter, giardiniere e aiuto cucina. Nel corso della stagione si fermò per un paio di mesi per uno strappo ai legamenti del ginocchio e si ruppe la mascella, legandosela con un cuscino perché non poteva permettersi le spese mediche.

La Federazione Britannica gli richiedeva di saltare almeno 70 metri in un evento di Coppa del Mondo per ottenere il pass per i Giochi di Calgary 1988. A due mesi dai Giochi, nel dicembre 1987, Eddie saltò per 69.5 metri.

“Devo ammettere che nemmeno per un secondo ho pensato che Eddie fosse capace di arrivare a qualificarsi per i Giochi”, aggiunse Berghorn, il suo primo allenatore.

Ma mentre si trovava in Finlandia, invitato ad allenarsi con la nazionale locali, la chiamata che Eddie aveva aspettato per una vita arrivò. Alloggiava in un ospedale per malati mentali perché non poteva permettersi altri posti dove stare, quando scoprì che era stato convocato per i Giochi Olimpici.

“La mia medaglia d’oro era partecipare”, ricorda Eddie.

Nel mese successivo volò in Colorado per allenarsi con la squadra olimpica statunitense, lavorando nel frattempo come lavapiatti in un hotel. La storia di Eddie iniziò immediatamente a fare il giro del mondo: molti lo definivano un “clown”, definendo la sua partecipazione imbarazzante per i Giochi, mentre alcuni atleti della spedizione olimpica britannica semplicemente lo ignoravano, non considerandolo degno della partecipazione. Appena atterrato in Canada all’aeroporto di Calgary, però, Eddie si ritrovò accerchiato da una televisiva locale e da un gruppo di fan con un cartellone. “Welcome to Calgary, Eddie The Eagle”, diceva. “Benvenuto a Calgary, Eddie l’Aquila”.

Lo amavano.

 Foto: Eddie “The Eagle” a Calgary 1988

 

Il giorno di San Valentino del 1988 una folla di 46.000 persone arrivò per assistere alla prima gara olimpica del salto con gli sci, il salto dal trampolino dei 70 metri. Si dice che perfino l’allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan interruppe una riunione sul disarmamento nucleare per veder volare “l’aquila” britannica. Quando Eddie si presentò in cima alla rampa l’intero impianto risuonava di un solo grido “Eddie! Eddie!”. Nel casco aveva scritto in lettere dorate “The Eagle”. La gara andò al finlandese Matti Nykanen, ma l’ovazione e il cuore del pubblico erano per l’ultimo classificato, Eddie Edwards.

In entrambi gli eventi (trampolino 70m e 90m) Eddie arrivò ultimo, con un punteggio quasi dimezzato rispetto al penultimo classificato. Di fronte a questo fenomeno il Comitato Olimpico Internazionale fu costretto nel 1990 a modificare il regolamento per il salto con gli sci, stabilendo che per partecipare ai Giochi fosse necessario trovarsi nei primi 50 del ranking internazionale o aver all’attivo un piazzamento tra i primi tre in una gara di Coppa del Mondo. Una regola che passò alla storia come “Eddie The Eagle Rule”.

Eddie tentò ancora di qualificarsi per i Giochi del 1992, del 1994 e del 1998, ma non ci riuscì proprio a causa della nuova regola che lui aveva portato a creare. Grazie a questa non ci sarà mai più un nuovo “The Eagle” a sollevarsi sul trampolino olimpico, ma lo spirito e la tenacia di questo piccolo atleta con un grande sogno resteranno sempre nei sorrisi dei più grandi appassionati.

Come disse Frank King, presidente del comitato organizzatore di Calgary, alla cerimonia di chiusura di quei Giochi, “Alcuni atleti hanno vinto l’oro, altri hanno infranto i record, ma qualcuno di loro è riuscito a spiccare il volo come un’aquila”.

 Foto: Eddie Edwards alla presentazione del film “Eddie The Eagle”

 

 

(Fonti: Guardian, Daily Mail, Indipendent)

Filed Under: Film, Giochi Olimpici, Storie Tagged With: Calgary 1988, Eddie Edwards, Giochi Olimpici, Sci, Sport Invernali

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